"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)
"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)
Nato a Roma nel 1968 si occupa di bla, bla, bla. Collabora con Skillweb, Lynx e altre società nel campo delle nuove tecnologie di comunicazione.
Appassionato di fotografia, montagna, ecologia e libertà, ASR, subbuteo e bicicletta, grafico e webmaster spesso per lavoro, spesso per piacere.
Tra le sue opere più importanti
L’immagine sgranata video di un nugolo di maschi stupratori, la notte corrusca di una rivoluzione già in crisi, gruppi che si fronteggiano, che si muovono sbavati e sbavanti, nuclei di violenza insana, vitrea, l’estremo tentativo di salvare delle ragazze scese in piazza (Tahrir) per la libertà e prese d’assalto, un uomo avanza con un lanciafiamme cercando di disperdere gli assatanati. Samaher Alqadi, palestinese al Cairo, scende in strada e interpella quei maschi, li provoca, non è lei, è la caméra a stabilire il campo di forza che innerva conflitto dentro il conflitto. La sovrapposizione tra la battaglia presente, il dialogo interiore e l’eterna lotta palestinese. Tahrir, Ramallah. Gravidanza, militanza. Conversazione immaginaria: la madre, la Palestina. As I want è un film che vive dei propri squilibri, dei propri alti e bassi, delle proprie inquietudini ma che riesce a delineare una linea di resistenza inusuale, unica.
Gravidanza, ancora. Dall’altra parte, in Israele. Le amiche raccontano di sangue e aborti, cinicamente, come se nulla fosse. Al tuo ragazzo chiedi di essere picchiata, per provare. Risveglio dei corpi lividi, veri. Poi però resti con l’uomo anziano, stupita da un altro tipo di complicità. Cellulari, teoria dell’X-factor, la ragazza si commuove mentre guarda il video di tanta disinvolta malizia e vulnerabilità. Piange su una panchina mentre fa la guardia ai cani che ha portato a pisciare e cacare. Hadas Ben Aroya, sbuffando e ghignando, precisa: smettete di guardarmi. All Eyes Off Me. Il primo e precedente, già brutalmente narcisista, recitava People That Are Not Me. Me Me Me. Io Io Io. Malinconicamente. Con durezza e certa vaghezza di struttura, tre episodi buttati lì, eppure senza furbizie fotografiche o di montaggio, si vede quel che si vede, ‘fuck the coolness’. E quel tanto di esibizionismo si trasforma in un discorso puramente fisico dove a contare non è l’analisi né il contesto ma la creazione dello spazio.