"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

The 15:17 to Paris (Clint Eastwood)

Saturday, 05 May 2018 08:56

Il reale e il suo riflesso

Mariuccia Ciotta

Clint Eastwood profana il set con corpi reali in una replica vertiginosa della Storia. Tre soldatiamanti del selfie raddoppiano lo sguardo del regista e riprendono se stessi in quel momento e altrove, alle 15:17 sul treno Amsterdam-Parigi, 21 agosto 2015. C’è chi non vede la magnifica distrazione della macchina da presa, quell’andarsene di sbieco a inquadrare i gelati sontuosi di piazza San Marco, e si aspetta John Ford. Eastwood sperimenta invece l’estremo contrasto tra il reale e il suo riflesso, questione all’ordine del cinema, saggio teorico di Spielberg in Ready Player One.

Metamorfosi dell’evento eroico. Gli eroi sono in vacanza. Clint scarta l’immagine-movimento, l’azione è ai margini del campo. Un bighellonare alla ricerca di sé, detour e assenze, contemplazione di città invisibili come se fosse l’ultima visione. Un film flaneur. La recitazione dei tre marines nell’originale svela l’autenticità dei soggetti “presi dalla strada” e doppiati da se stessi, più veri del neorealismo. Il protagonista, Spencer Stone, è chiamato a trasferire sullo schermo l’autobiografia scritta con gli altri due commilitoni, Anthony Sadler e Alek Skarlatos, che quel giorno viaggiavano sul treno Thalis 9364. Sulla strada della memoria, la macchina del tempo risucchia il passato e lo riconsegna brillante e fresco per fiancheggiare i vivi.

Via la 44 magnum, si viaggia in giro per l’Europa, capitale della storia, Roma, Venezia, Berlino, Vienna... esterni giorno e interni notte nelle piazze e nei musei, nei pub e negli ostelli. Tre americani a Parigi. Divagazioni e premonizioni sull’esistenza che avrà pure un senso. Flash-back di Spencer & Co. scolari indisciplinati, banda a parte e nessun segno di eccellenza. Anzi. Spencer, il ragazzone di Sacramento, non passa l’esame per entrare nel reparto di soccorso aereo perché non ha il senso della profondità. Non ha prospettive. Non sa calcolare la distanza tra sé e il mitra impugnato dal terrorista, e il mirino di Eastwood misura campo lungo e piano americano per stabilire il giusto spazio, mentre la realtà fa inceppare il fucile d’assalto di Ayoub El-Khazzani.

Copia fantasmatica di sé, Spencer si muove nel labirinto temporale del film, e come il sergente Will James in The Hurt Locker smonta i dispositivi di morte e tampona con due dita l’arteria del ferito che zampilla sangue. I marines guardano scorrere il flusso dei paesaggi indifferenti inquadrati nel finestrino, ma non è tempo di osservare la realtà che passa. Movimento per cambiare fatti e cervelli, The 15:17 to Paris  interviene per deviare l’inevitabile, per sistemare i fatti come nel West marcio di Unforgiven o a Iwo Jima grondante lacrime nemiche o nelle parate patriottiche dei “nostri padri”. Cavalieri pallidi e solitari, individualisti democratici entrano in azione. È il cinema che si rifiuta di starsene a guardare e ingaggia un corpo a corpo con quel che accadde, si sovrappone, immagine su immagine, alla verità.

Stupefacente Clint, repubblicano, che a mo’ d’esempio scrive sulla lavagna scolastica di Spencer, Anthony e Alek bambini, il nome di Franklin Delano Roosevelt, l’uomo del New Deal, quello che  sapeva “aggiustare le cose”. E se necessario violare le leggi. Come Lincoln che comprò qualche congressista pur di abolire la schiavitù, come Spencer Stone armato di una penna biro contro i terroristi, e come Dirty Harry, convinto che la giustizia sostanziale valga più della legge.

 

 

Published in SPECIALE Americans

American Sniper (Clint Eastwood)

Thursday, 16 April 2015 14:26

Straightshooting in the Dark

enrico ghezzi

Affrontare di petto il fantasma della visione è la situazione estrema di American Sniper. Film isolato e nudo, sconta senza paura la scabrosità scabra del soggetto facendo rimbalzare su chi lo guarda l’intensità concentrata di tale paura, e la sfida frontale al desiderio spettacolare. Non meno di un godard, eastwood si pone in regia raffinando il proprio autoritratto e provocando gli altri col gioco della distanza/vicinanza delle immagini. La purezza nera del film colpisce nel segno: fin dall’inizio sarà chiara l’invisibilità della cosa, e che la cosa è l’invisibile. Il west del cinema ha già compiuto diversi giri del mondo. Al cecchino il compito insensato di dare un senso alla singola pallottola, nella redroom della sua arma si forma e si disfa l’immagine di morte. Mediatore fatale tra un dio e il destino, sembra il resto ultimo dell’umano in una guerra mai più riconoscibile. L’immagine è distanza irrimediabile, che non può essere colmata scendendo sul set, nel qual caso sei tu stesso mutato in ‘immagine’; (‘se mi vedi sei morto’; A Casa dopo l’uragano di minnelli, l’esitazione prima di sparare, quella di deniro (Il Cacciatore) di fronte al cervo; o di walterpidgeon con hitler nel mirino in ManHunt; a casa non manca la bibbia, la prima lettera di San Paolo ai Corinzi –quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che era da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio, allora invece vedremo faccia a faccia - In questa notte che fugge dall’alba accendo meccanicamente la tv e trovo i titoli di testa di Come in Uno Specchio di bergman - Lontano sta l’appassionante Redacted di depalma e lontanissimi restano i neoclassici della bigelow - Irresistibilmente mi trovo a evocare (nonsoperchè; la storia del cinema è sempre da rifare) Romantico Avventuriero (Gunfighter, 1950), psicodramma western dark sublime di henryking con gregorypeck)… E il cecchino record rimasto bambino mi fa assurdamente pensare a un altro uomo senza qualità (vedi magari i bellissimi pezzi di musil sulla rivista delle truppe austriache al fronte). Per straight che sia lo shooting, con la cadenza dei quattro ‘viaggi’ del protagonista sul fronte medio-orientale tutto (perché casa e teatro di guerra hanno la stessa distanza filmica dall'immagine, sono lo stesso cinema), precipita verso la nuvola tempestosa di sabbia che acceca e salva fino a un ‘vedere faccia a faccia’ con gli occhi stretti, intravedendo nulla (come non ricordare qui Fear and Desire, il film primultimo di kubrick, il più ‘faccia a faccia’ e il più sottovalutato del ventunesimo secolo?). Eyes Wide Shut fu già Eyes Wide Shot.

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