"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Torneranno i prati (Ermanno Olmi)

Monday, 13 April 2015 14:59

La lotta dell'uomo per la sua sopravvivenza

Sergio M. Germani                       

Ci sono anche oggi dei grandi cineasti, e da tempo sappiamo che non devono per forza essere giovani, la vecchiaia è anzi il luogo in cui si rafforza la grandezza (da Ford a Dreyer a Matarazzo a de Oliveira). Scoprire che un cineasta in cui abbiamo potuto percepire anche qualche oscillazione di livello, “giunga” oggi a una inequivocabile grandezza ci rende felici. E naturalmente la cosa non viene intesa, e perlopiù si tratta Torneranno i prati con discorsi di doveroso rispetto. E il suo toccare la grande guerra come un umanitarismo senile, consono alla proiezione alla presenza di Napolitano di un film sostenuto dal Ministero. Anzi, c’è chi sottolinea che sul set Olmi dovette affidarsi a un qualsiasi Zaccaro, non cogliendo che in ciò egli alfine raggiunge la libertà di Rossellini verso il cinema. Il titolo stesso del film simula un’adesione all’ottimismo del ritorno in vita, ma vuol dire altro, che la vita successiva è stata condannata a dimenticare le morti, a mutare il fertilizzante dei cadaveri nell’eterno ritorno dei prati. Il “regista cattolico” che in E venne un uomo seppe problematizzare il corpo del papa nella reincarnabilità di un attore, che in L’albero degli zoccoli potè interrogare la sicurezza cristiana del sacrificio animale nel rito della sopravvivenza degli esseri umani, che in Centochiodi toccò il lato diabolico della santità, giunge qui a sussurrare una bestemmia verso un Dio che non ha salvato gli uomini a cominciare da suo figlio.  Giunge anche al nichilismo della natura (paesaggi, animali...) che la guerra fa lambire come territori irraggiungibili proprio quando appaiono vicini allo sguardo come nello stupore di Stavros Tornes; e all’eclissarsi della donna di cui il soldato nella distanza trattiene solo la natura del tradimento. Dobbiamo rivedere gli Olmi che seppero accogliere e distornare le “rivoluzioni” degli anni '60 e '70 perché in questo presente del 2014-2015 egli raggiunge l’indispensabilità più pura.  

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