"If I think about the future of cinema as art, I shiver" (Y. Ozu, 1959)

Mandy (Panos Cosmatos)

Sunday, 28 April 2019 21:00

Noia mortale

Edipo Massi

Poiché l’esistenza di questa rivista non si basa sull’evenienza che un film occupi una qualche posizione alta o bassa nel gran firmamento dei film, c’è qualcosa di così apertamente innaturale nella concezione (e nell’ambizione) di un film come Mandy di Panos Cosmatos (datato ormai più di un anno fa), che vale la pena spendersi brevemente. Le gare di rinvenimento di citazioni e successivi sarcasmi di chi se ne è occupato finora sono inutili soprattutto perché mancano ciò che davvero sembra continuamente in questo film cedere sotto la sua stessa fragilità (la quale a sua volta è anche l’unica cosa realmente affascinante). La lenta colata estetizzante nel mezzo di foreste che sembrano svaporare in un diluvio di rugiada (colonna sonora il cult prog ex-king crimson), l’ironica architettonica vita di coppia en plein air in una baita avveniristica, le voci che sfumano nella notte già presagendo l’oltretomba sanguinario che verrà, Nicolas Cage fuori luogo fuori posto, Andrea Riseborough dark e irriconoscibile: tutto - in questa che è senz’altro la parte migliore del film - è appunto quanto di più caustico e, volontariamente o meno, teso a un’irriverente danza attorno alla noia (quelli bravi qui parlano di psichedelia e di film sotto effetto LSD), che sia dato di recente vedere. L’armamentario post-mansoniano che segue è in fondo un elemento di pura normalizzazione, anche se l’approccio visivo è altrettanto umidamente corrusco, e nella notte di questa coppia di amanti (difficile dire se felici, diciamo fatali e fatalisti) l’ultra-violenza non viene giustamente risparmiata (e neppure la classica struttura che vedrà Cage vendicarsi con gli assassini di Mandy - gliela bruciano viva davanti - uno a uno, fino a che il sangue scuro che gli copre il volto non si unirà in un ultimo slancio pittorico allo schermo stesso). Per chi ha visto il precedente Beyond the Black Rainbow noterà come anche la concettualità ossessiva (e altrettanto ironicamente noiosa e oscura) sia andata smarrita, e così quell’idea di asciugare all’osso gli elementi narrativi immagazzinandoli tutti nella dimensione visiva (anche questa fortemente citazionista), che invece in Mandy risorgono drammaticamente oppure, a seconda dei punti di vista, stanno lì come puro sberleffo. Eppure la vena trascendentale rimane intatta, maniacale e onirica, facendo in fondo di questo film una vera e propria teoria del vintage, che a sua volta, per certi meravigliosi fissati di cinema, non è altro che esibizione malinconica della dannazione autobiografica (faccio un film come vorrei che fossero, oppure come ho sognato che fossero quando ero ragazzo e mi ammazzavo di film). E questo è un po’ meno noioso. Magari tenero, ingenuo, ma per nulla noioso. Si tratta di riottenere quello stato di alterazione delle visioni estreme e infinite durante la giovinezza, raggiungerlo superando i pericoli dell’inconscio e le minacce di controllo sociale (Beyond…) o religioso (Mandy), e restare, una volta per tutte, solo e protetto dalla propria ingenuità. Indipendentemente dalla riuscita o meno del film.

 

 

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